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Camalò - 

Camalò - una Comunità e la sua storia

Tutte le informazioni contenute in questa sezione seguono un ordine cronologico e sono tratte da

Camalò, una comunità e la sua storia - vol. I,II,III,IV, 2011

del Prof. Antonio Bozzetto di Povegliano TV

 

 

Il più antico(*) documento finora rintracciato, in cui viene citato Camalò  come piccola comunità cristiana (cappella) dipendente dalla Pieve di Volpago,  è la Bolla di Papa Eugenio III  – datata 3 maggio 1152 – indirizzata al vescovo di Treviso. Attualmente non è dato di sapere se in qualche archivio esistano  documenti antecedenti a quella data, che possano testimoniare di Camalò. Lo potremmo immaginare come un piccolo agglomerato di povere abitazioni (villaggio – villa) attorno ad una chiesetta.  Per questo motivo sarebbe interessante sviluppare ulteriori ricerche.

(*) In realtà, si è a conoscenza dell' esistenza di un documento risalente al 997, relativo alla fondazione del Monastero di Mogliano Veneto (TV), contenente un riferimento ad una chiesetta in Camalò.  Cercheremo di capirne di più, appena possibile.

 

Ipotesi sulla toponomastica
Non si è ancora giunti a scoprire l'origine certa del toponimo Camalò. Nei documenti d'archivio il paese viene citato con denominazioni diverse:

Camallodio, Camalao, Chamalò, Cammallò, Camalado, Camallò, Camalò...

L'ipotesi più conosciuta è che il nome di Camalò derivi da Ca-malado, vale a dire "residenza per ammalati", attribuibile probabilmente al fatto che la sua posizione geografica ai piedi del bosco Montello potesse offrire un ambiente climatico salubre (cd. "arie sane"), soprattutto alle persone con problemi respiratori, e che esistesse addirittura uno specifico ospizio. Di tutto ciò non sono stati finora acquisiti elementi di prova.
Tuttavia, non sono trascurabili altre ipotesi.

 

Il Prof. Bozzetto avanza altre ipotesi, tra le quali una abbastanza interessante e, forse, la più credibile, che farebbe derivare il nome di Camalò da Callis Major – Cal-Maor, ossia una quintaria della centuriazione romana che collegava la strada consolare Postumia (148 a.C.) alle risorse boschive del Montello e sulla cui direttrice il paese si colloca. L’esistenza della “Cal Maor” è confermata anche nel documento Catasticon Agri Tarvisini del 1423, nel quale si legge: …per la Regula da Camalo per la dicta plebe: una via publica perlaqual se va della dicta regula de Camalo, alla regula de Paderno e si appellada Cal maor.
Volendo ancora argomentare, sempre secondo il Bozzetto, il toponimo Camalò potrebbe essere di derivazione barbarica anlot (= a sorte, allodium in latino), termine con il quale veniva definito il territorio assegnato a sorte per ciascun militare romano. Da qui: Campus allodii -> Cam[pus]-allodium -> Camallodio ->  Camallò -> Camalò.
Il rinvenimento di alcuni reperti archeologici a Selva, a Camalò nel fondo di proprietà di Nicolò Sdrin alla Sorbolera,  e a Ca’ Niove ai confini di Paderno, attesta in ogni caso che questo territorio è stato interessato dalla presenza dei Romani.

 

Per la narrazione più particolareggiata delle vicissitudini della comunità di Camalò nel corso degli anni successivi al 1152, preferiamo rinviare a testi specifici, in particolare all’opera già citata “Camalò, una comunità e la sua storia” , edita nel 2011 – ed alla ricerca “Camalò, la Chiesa, l’Arte” della Prof.ssa Fabiola Brustolin di Camalò, che costituisce il quinto quaderno della predetta raccolta.

 

 

Chi erano i camalodiensi e come vivevano

 

Sec. XIV

 

Sempre attingendo a documentazione d’archivio, è possibile affermare che, se la maggior parte della popolazione era povera e dedita all’agricoltura ed alla pastorizia, vi risiedevano tuttavia persone di cultura e di rilevo, come, ad esempio, il notaio Leonardo (non è citato il cognome) originario di Valdobbiadene (1304), il notaio Francesco Guizandi originario di Asolo (1344) ed il notaio Pietrogiovanni originario di Villorba (1352).

Sono proprio alcuni atti notarili che fanno pensare ad una comunità pur povera, ma vivace, che acquistava, vendeva, pattuiva, faceva divisioni di beni tra eredi, stipulava accordi e doti matrimoniali, ecc.

In verità, erano pochi i proprietari di fondi residenti a Camalò. La maggior parte dei mansi (= podere con abitazione), delle chiuse (= lotto di terreno recintato) o di altre estensioni agricole, erano di proprietà di famiglie nobili, di professionisti, di artigiani, di commercianti per lo più abitanti in città a Treviso, oppure di Confraternite e Ordini Religiosi. 

Un esempio:

"Il 19 marzo 1305, Gualfredo del fu Giacomino da Camalò aveva acquistato un manso costituito da 25 campi di terra con 1 casa coperta di coppi e 2 tezze coperte di paglia (=fienili), tenuto in affitto da Pasquale di Camalò. Il tutto per il valore di 300 lire."

I Camalodiensi erano principalmente fittavoli o famigli (=servi).

A prendersi cura delle anime, invece, erano spesso preti non residenti, extra diocesani o addirittura provenienti da paesi stranieri, con conseguenti problemi di lingua e di abitudini. Sembra che questo fenomeno raggiungesse il 60% di tutto il clero della diocesi di Treviso.

Molti poderi figuravano di proprietà di enti religiosi e di confraternite o costituivano benefici per le chiese locali.

Riportiamo, a titolo di curiosità, un contratto di acquisto e successivo affitto di un manso in Camalò da parte dei Domenicani del Convento di San Nicolò di Treviso (sede dell’attuale Seminario Vescovile).

Questo Ordine Religioso aveva ottenuto in donazione un manso di terra in Camalò, che comprendeva 11 campi e mezzo ed era in affitto ad Andrea del fu Radini di Camalò con un contratto della durata di 29 anni.

"Il giorno 10 aprile 1301, alla presenza di testimoni, il Priore Fra’ Giovanni da Lancenigo ed il sindaco del Convento Endrigeto da Maserada, ne avevano preso il possesso con questo curioso cerimoniale:

Camminando avanti ed indietro per il manso, chiudendo ed aprendo i cancelli del cortile, raccogliendo ciuffi d’erba e pugni di terra, osservando il terreno in lungo e in largo, rompendo rami di alberi e controllando i cippi di confine proclamando ad alta voce il diritto di proprietà.

Come affitto annuale, il Radini versava 5 staia di frumento e 2 spalle di porco da portare al Convento di Treviso a sue spese ed eventuali pericoli (guerra, furti, brigantaggio…). Aveva l’obbligo di risiedere nel manso con la sua famiglia, di tenerlo nei modi dovuti, mantenendo i fossi di scolo puliti, concimare, zappare, piantare alberi…

Dopo varie successioni di fittavoli, nel 1389 il manso fu affidato al mastro chirurgo Michele Capela. L’abitazione era deserta da molto tempo e cadente in ogni sua parte a causa della guerra con gli Ungari e i Carraresi alleati nell’assedio di Treviso; guerra che aveva portato distruzione e morte nelle campagne, tanto da lasciare queste ultime abbandonate ed incolte per quasi tutto il periodo del conflitto.
 

Come erano composte le famiglie e cosa possedevano

Sec. XV

 

Alcune polizze d’estimo conservate presso l’Archivio di Sato di Treviso hanno consentito di risalire alla composizione-tipo dei nuclei familiari di Camalò e dei loro beni.

Si tratta di vere e proprie schede nelle quali un pubblico incaricato annotava tutte le informazioni che il capofamiglia era tenuto a rilasciare circa le proprie condizioni. Oltre al nome del titolare, venivano elencati i beni posseduti in terreni e fabbricati e a quale titolo, il tipo e la quantità degli animali allevati, i crediti ed i debiti verso terzi, l’elenco di tutti i componenti del nucleo familiare.

 

7 gennaio 1451 – condizioni di ser Marcho di Camalò:

  • un fondo con casa coperta di paglia vecchia ed un vecchio fienile

  • un orto e circa un quarto di campo confinante da una parte con la terra dei frati di San Nicolò, da un'altra con la terra di Vettor di Camalò e da un’altra ancora dalla strada comunale

  • un pezzo di terra al boschetto, circa mezzo campo non lavorato, con cinque filari, confinante da un lato con il terreno di ser Michele Bevilacqua di Povegliano e dall’altro il terreno di ser Roberto di Povegliano

  • un pezzo di terra alle favrette, circa mezzo campo non lavorato, con cinque filari rotti, confinante da una parte con la proprietà di San Giacomo della Spada [Ordine Cavalleresco], dall’altra con terra della figlia di mastro Zuan da Chioggia, bottaio in Treviso

  • [dichiara:] Queste parti di terra in affitto non potrebbero pagare niente e potrebbero fare circa un carro di vino (circha cara uno de vin). Ho in casa due zoe (?) Marco di anni 70 e la mia donna di anni 60 e sono debitore a più persone per circa 22 ducati.

 

7 gennaio 1451 – condizioni di Marchior figlio di Zuan di Mical abitante a Camalò:

  • prima di tutto non ha niente… sta come bovaro con donna Altina di Camalò per cui non deve riscuotere. Ha quattro bocche (= persone da sfamare): il detto Marchior di anni 26, un bambino di un anno e due femmine.

 

7 gennaio 1451 – condizioni di Biasi, figlio di ser Roberto da Povegliano, abita a Camalò, ha di proprio:

  • Alla Guizza di Camalò mezzo campo di terra arata con filari confinante da una parte con ser Fioravante da Bosso e dall’altra con Marchetto da Camalò

  • Così alla levada dello stesso paese mezzo campo di terra arata con filari, confinante da una parte con la campagna di Giavera e dall’altra gli eredi di Michele Bevilacqua di Povegliano

  • [dichiara:] la qual terra dovesse essere affittata secondo il suo giudizio metta solo che può fare 8 carri di vino

  • tiene in affitto un podere recintato [una chiusa] con una casa di coppi da fuoco e un fienile di paglia, circa tre quarti di campo, paga di affitto al padrone zoe ser Andrea Cadorin falegname in Treviso un ducato, un paio di polli e una carrettella di frumento

  • possiede una cavalla … e una puledra

  • ha tre bocche: una bambina, (lui 34) anni e la femmina

 

1462  –  condizioni di Giacomo figlio di ser Zan di Camalò ivi abitante:

  • ha di proprietà un fondo con due case di muro e fienili di paglia di campo

  • ha in Camalò due campi in Cal di Villorba

  • ha in Camalò mezzo campo di terra con filari in luogo chiamato ai novali

  • ha in Camalò un campo di terra ai novali

  • ha in Camalò in luogo chiamato alla zudia  un campo di terra con 6 filari confinante da un lato con la Chiesa di Camalò e dall’altro il comune di Santandrà

  • ha in Camalò in luogo chiamato levada di sotto un campo con sei filari…

  • ha in Camalò in luogo detto alfane tre campi di terra con 13 filari

  • ha in Camalò in luogo detto levada quattro campi di terra

  • ha in Camalò in luogo detto alle conce tre quarti di campo con 3 filari

  • ha in Camalò in luogo detto ai concoli mezzo campo

  • ha in Camalò in luogo detto al boschetto quattro campi di terra prativa e 7 filari

  • ha in Camalò in luogo vicino alla chiesa tre campi di terra

  • ha in Camalò in luogo detto al maso dieci campi di terra prativa e arativa e 29 filari 

  • ha in Camalò in luogo detto al pra’ del rovero cinque campi di terra con 20 filari 

  • ha in Camalò in luogo detto al longer quattro campi di terra con 13 filari

  • ha in Camalò in luogo detto alle fosse tre campi di terra con 15 filari

  • ha in Camalò in luogo detto al fossoletto mezzo campo di terra con 3 filari

  • ha in Camalò in luogo detto alla cal di giavera [cal di glaura] tre quarti di campo con 4 filari

  • ha in Camalò in luogo detto alla guja un campo e mezzo di terra incolta

  • ha in detto paese in luogo detto boschetto due campi con otto filari

  • ha in detto paese ai concoli tre campi di terra arativa e prativa

  • ha in Camalò ai pra’ tre quarti di campo

  • ha in Camalò alla cal nova un campo

  • ha due buoi da giogo – tre vacche ed una vitella – una cavalla ed un cavallo

  • ha dieci pecore e deve a Giacomo suo pastore 30 libbre

  • deve a più persone 40 libbre ed è creditore da più presone di 30 libbre

 

8 maggio1499   –  condizioni di Zuane figlio del fu Zuan detto Piero Basso di Povegliano ma residente a Camalò:

  •  ha un pezzo di terra in Camalò in luogo detto la Sorbolera

  •  ha in Camalò un podere con una casa di muro coperta di coppi con un fienile di paglia con orto e forno

  •  ha due vacche, un vitello, un secondo vitello di un mese ed una manzetta di due anni

  •  debiti: deve dare a più persone circa lire 50

  •  sono in famiglia: Zuanne malaticcio di 32 anni, Vite sua moglie di anni 31, Lunardin di anni 5 suo figlio, Toni di anni 4 suo figlio, Bortolo di anni 2 suo figlio, Biasio di 3 mesi suo figlio

 

11 maggio 1499 – condizioni di Martin e Antonio fu Giacomo da Camalò:

  • un podere arativo e prativo con tre filari con tre case di muro coperte di coppi con tre fienili di paglia in luogo detto Cal da Villorba

  • un terreno di quattro campi con 17 filari a Camalò in luoghi detti alla levada, alle farne, al rovere, al lavigero, alle faurette, alla cal di Giavera, al pozzo, alla cal nuova, al casale…

  • 12 buoi da giogo, 5 vitelli piccoli di due anni e mezzo, 2 vacche vecchie, 2 vitelle piccole da latte, 2 vitelle vecchie e 1 orba, 1 puledro di due anni, 150 pecore, 4 capre ed 1 becco da fecondazione

  •  deve avere da Domenico di Conegliano 10 ducati cedutigli in prestito

  •  deve avere da Francesco Dogia 10 ducati

  •  devo dare a Joldo mio famiglio (= servo)  lire 140

  •  devo dare a Zuan mio famiglio pastore lire 50

  •  devo dare a Midio mio famiglio lire 70

  •  devo dare a Mio mio famiglio lire 100

  •  devo dare a Agnol mio famiglio lire 18,22

  •  devo dare a più persone lire 33

  •  Così è formata la famiglia: Martin di 46 anni, mio fratello Zaneto di 42 anni, mio cugino Bartolomeo di 42 anni, mio cugino Toni di 36 anni, mio cugino Menego di 26 anni, mio neno (=figlio di adozione) Ceco di 18 anni, mio figlio Agnol di 12 anni, mio figlio Giacomo di 10 anni, mio figlio Bastian di 6 anni, mio neno Jeronimo di 10 anni, mio neno Polo di 7 anni. mio neno Santo di 9 anni, mio neno Piero di 3 anni, mia zia Fior di 70 anni, mia moglie Cecilia di 40 anni, mia cognata Benvegnuda di 36 anni, mio cugino Tonio di 40 anni, mio cugino Menego di 30 anni, mio cugino Santo di 24 anni, mia figlia Trivisana di 21 anni, mia nipote Gnese di 21 anni, mia nipote Orsola di 16 anni, mia nipote Menega di 16 anni, mia figlia Margherita di 6 anni, mia nipote Polonia di 6 anni, mia nipote Maria di 1 anno.

  • segue un lungo elenco di campi in affitto dal Convento di San Nicolò di Treviso per i quali paga lire 40, 4 stare di biada per cavallo , 1 agnello ed un pio di galline.

 

 

Sec. XVI

 

Il secolo XVI aveva riservato alla piccola comunità rurale sofferenze e distruzioni.

La guerra di Cambrai (1509-1515) aveva portato scorrerie, saccheggi, incendi e razzie. La gente aveva abbandonato le proprie povere abitazioni lasciando i terreni incolti e si era rifugiata entro le mura di Treviso. Qualcuno si azzardava a lasciare il sicuro rifugio per recuperare qualche bene lasciato in paese o per racimolare quel minimo di prodotto agricolo sopravvissuto ai saccheggi (uva, fieno, verdura, frutta…), ma lo faceva con grande rischio per la propria incolumità.

A questo si erano aggiunti le gravi carestie e pestilenze ed il malgoverno dei Da Carrara.

Ciò aveva portato a due tipi di conseguenze: quella di un ulteriore impoverimento dei già poveri e quella di un ulteriore arricchimento dei già benestanti. Alcuni di questi ultimi, disponendo di sufficiente denaro, meglio erano riusciti a superare le difficoltà e, approfittando dello stato di necessità dei poveri, ne avevano acquisito i pochi beni. Non bastando, in certi casi avevano vessato i fittavoli inadempienti fino a requisire le loro misere proprietà, o li avevano indotti ad indebitarsi ulteriormente per onorare gli impegni di contratto.

 

Nel periodo in esame risultavano avere beni immobili in Camalò anche la stessa Chiesa di Camalò, il Capitolo del Duomo, i Frati di San Nicolò di Treviso, il monastero della Celestia (Santa Maria della Celestia) di Venezia, l’Ordine di San Giacomo della Spada, i Frati di Santa Margherita di Treviso.

 

4 Novembre 1523 - La prima Visita Pastorale di cui si ha documentazione.

Il 4 novembre 1523 il canonico Giulio Avogaro - Vicario Generale del vescovo di Treviso Francesco Pisani – si era presentato alla chiesa di Camalò per la visita pastorale, ma non vi aveva trovato il cappellano prè Zannetino Banunzini, assente dal giorno prima per essersi recato in zona di Castelfranco. Ciò nonostante, il prelato aveva proceduto alla visita senza poter tuttavia controllare il luogo dove era custodita l’Eucaristia e neppure quello degli Oli Santi, perché erano entrambi chiusi a chiave.

L’inventario dei beni immobili della chiesa comprendeva una pezza di terra aratoria piantata e con viti ubicata nella Regola di Povegliano in luogo chiamato Barbarossa ed altra analoga pezza in Camalò in luogo chiamato al haluer, che producevano mezzo carro di vino raccolto dai massari eletti.

La chiesa poteva disporre di queste poche suppellettili e arredi sacri:

  • 1 croce dorata

  • 1 calice dorato con patena custoditi in una cassetta

  • 3 mantelle d’altare

  • 4 tovaglie d’altare

  • 1 vessillo con due figure in entrambi i lati: S. Matteo e la B.V. Maria

  • 1 pianeta bianca con stola e manipolo

  • 3 amitti di cui uno con cappuccio

  • 2 cingoli

  • candelieri di legno

  • 2 messali di cui uno membraceo (= di pergamena)

  • 1 epistolario membraceo

  • 1 rituale per Battesimo

  • 1 rituale per gli infermi

  • 1 turibolo

  • 1 aspersorio

  • 1 lampada per il Viatico

  • 1 campanello da suonare all’elevazione nella Messa

  • 1 campana di mezza grandezza per chiamare i fedeli alle funzioni

Nella stessa chiesa si trovava un altare costruito dalla famiglia De Martinis (=Martini) sul quale ogni mese veniva celebrata una messa. Questo altare era dotato del suo arredo: 1 pianeta con stola ecc.., un paliotto con croce nel mezzo e figure, una mantella (=tovaglia).

Vi era pure un altro altare costruito dalla famiglia De Bursio (=Borso)

 

Abbiamo così notizia che nel 1523 già esistevano i due altari laterali, quello dei Borso e quello dei Martini e che la chiesa era dotata di una sola campana di medie dimensioni per chiamare i fedeli alle funzioni. Non viene, invece, fatta menzione di alcuna pala d’altare, neppure di quella del titolare San Matteo. 

30 Novembre 1554 - Visita Pastorale

 

Il 30 novembre 1554 Giovanni Francesco Verdura, suffraganeo del cardinale Francesco Pisani, aveva proceduto alla visita pastorale: aveva ispezionato il tabernacolo di rame dorato riscontrando che le Sacre Specie erano ben conservate; gli Oli Santi erano custoditi in boccette de banda (= di lamierino di ottone). Aveva quindi ordinato al cappellano e ai massari di restaurare il Fonte e di sistemarlo con cancellata.

Rettore della chiesa era pre' Laurentino De Pace, assente, sostituito dal cappellano Giovanni Antonio De Acerbis.

 - Le anime da comunione sono 108 e i costumi dei fedeli sono buoni – aveva riferito il buon cappellano.

Pur disponendo di una limitata distinta, si può rilevare che, rispetto alla visita di trent’anni prima, le suppellettili e gli arredi sacri erano di poco aumentati. In particolare il numero delle tovaglie d’altare erano passate a 20, come 20 erano i candelabri di auricalco (=lega antica di rame e zinco) e 20 i candelabri di ferro.

 

Come novità si riscontra già la presenza di un Fonte Battesimale. Non risultano menzionati né altari laterali, né eventuali pale di Santi.

 

Il caso di Prè Bartolomeo Dall’Olio

Il 15 febbraio 1565, attraverso Pre' Jcobo Bonfiglio suo procuratore, Pre' Bartolomeo Dall’Olio aveva citato in Tribunale Vescovile Pre' Giovanni Maria Poiesi, sostituto del rettore di Camalò, per la presunta arbitraria alienazione di alcuni arredi ed attrezzature. Il pretesto della denuncia sembra avere avuto come finalità ultima l’allontanamento del Poiesi dal suo incarico. E’ da chiarire che, mentre il Poiesi era stato legittimamente nominato rettore dal Capitolo delle Monache di Santa Maria degli Angeli in Murano, da cui la Chiesa di Camalò dipendeva, il Dell’Olio, invece, era stato nominato dal Vescovo di Treviso.

In questo caso è da chiedersi se la nomina del Vescovo fosse stata valida, perché era diritto delle Monache scegliere il Rettore per le loro Chiese, che doveva essere comunque presentato al Vescovo per la verifica della sua idoneità.   

La vertenza era stata presa in esame dal Doge Lorenzo Priuli che aveva giustamente revocato la nomina del Dall’Olio.

Pre' Poiesi poi lasciò comunque Camalò ed il Dall’Olio conservò il suo incarico.

Successivamente, nel mese di maggio 1571, i capifamiglia di Camalò presentarono una memoria al Tribunale del Vescovo di Treviso contro il loro rettore-curato Bartolomeo Dall’Olio perché, a loro dire, questo prete era un tipo litigioso, arrogante, violento, che all’inizio arrivò addirittura accompagnato da “bravi” armati (=guardie del corpo armate). Era solito maltrattare e minacciare i fedeli anche in chiesa, non aveva rispetto neppure per le persone anziane e si rifiutava di partecipare alle processioni nelle Rogazioni nei tre giorni prima dell’Ascensione. In un caso non aveva voluto portare l’Estrema Unzione (=l’Olio degli Infermi) ad una donna in pericolo di vita, né aveva concesso che altro prete intervenisse. A dire dei predetti capifamiglia, la comunità si sentiva come un gregge senza governo.


Da tutta la documentazione veniamo a sapere, tra l’altro, che era usanza andare in processione con un sacerdote alla chiesetta di San Vito di Merlengo il giorno di San Marco.

Le Rogazioni venivano fatte con il concorso dei fedeli di Venegazzù e di Volpago e con i loro sacerdoti intorno al proprio territorio: il lunedì a Camalò, il martedì a Venegazzù ed il mercoledì a Volpago.

  

25 settembre 1561 - Prima visita Abbaziale di cui si ha documentazione

Il 25 settembre 1561, mentre custode e rettore della Chiesa di Camalò era pre' Giovanni Maria de Poiese, si era presentato per la visita abbaziale Domenico Suriano, veneto, vicario, confessore e procuratore del Monastero di Murano. Il Visitatore aveva rilevato che il SS. Sacramento era conservato in un vaso di metallo dorato, molto vecchio e corroso.

Il Battistero, inoltre, era stato ritenuto insufficiente.
In chiesa vi erano:

  • 3 altari dotati di tovaglie e candelieri

  • 1 croce di rame con lamine e figure

  • 2 candelabri lignei dipinti

  • 2 ceroferari (gli stessi ora custoditi in apposito locale blindato in canonica?)

  • 3 paramenti per la celebrazione della Messa.

  • Vi erano pure 2 campane, ma non era stata precisata la loro collocazione.

Al termine della visita, alla presenza dei testimoni Bernardino Zanneto del fu Giovanni, Giovanni De Martinis del fu Sebastiano e Giovanni Vittore De Martinis del fu Girolamo, il Visitatore aveva esortato il custode e rettore a non permettere ad alcuno di visitare canonicamente la chiesa.

15 settembre 1578 - Visita Pastorale

 

Il 15 settembre 1578 il Vescovo di Treviso Francesco Corner si era presentato per la sua visita pastorale. Era giunto con grande seguito: il Vice-Cancelliere e notaio Vincenzo Massarotto, il Prè Antonio Roberto, Alberto Vionico Decano della Cattedrale, il mansionario della Cattedrale D. Larino degli Scolari assieme al cappellano del Vescovo Prè Giuseppe Ambrosio di Pistoia ed altri familiari. Era stato accolto da Prè Matteo Fabrino in sostituzione del Rettore Prè Alvise Bigaia. Aveva poi ispezionato il Santissimo Sacramento posto in un tabernacolo di rame dorato dentro un ciborio ligneo sull’altare maggiore, diligentemente chiuso a chiave. Gli Oli Santi erano sistemati in vasi di stagno contenuti in una cassetta di legno con chiave, riposta a sua volta in una specie di tabernacolo sopra l’altare della Madonna. Accanto a questo altare vi era il Fonte Battesimale costituito da una pila di marmo. Aveva ispezionato anche il cimitero.

 

Si era trattato di una visita alquanto particolareggiata e queste sono le ulteriori notizie che ci sono pervenute in merito:

 

Notizie fornite dal cappellano:

  •  Il titolo della chiesa è San Matteo ed è cappella sottoposta a Volpago.

  • Ha un solo capitello dove si va con la processione.

  • Il Rettore è Prè Alvise Bigaia ed è jus presentandi (=diritto di presentare il sacerdote o il chierico adatto ad essere investito cioè a possedere il beneficio) delle Monache degli Angeli di Murano.

  • Vi è la Fabbriceria ma il cappellano non sa che entrate abbia.

  • Non sa di preciso quante anime da comunione ci siano, forse un centinaio.

  • Come Legati non ne ha notizia di altri se non quello della Vergine dei Borso che ha un’entrata di mezzo staio di frumento ed un concio di vino all’anno per la celebrazione di una messa alla settimana.

Notizie fornite dai fabbricieri:

  • Prè Alvise Bigaia qualche volta non ha celebrato messa, ma non risulta che abbia dato scandalo o abbia trascurato l’amministrazione dei Sacramenti.

  • La Fabbriceria ha due campi di terra dai quali si ricavano 21 lire di affitto che vengono spese per candele e olio per illuminare e non sono sufficienti per le riparazioni della chiesa.

  • Prè Alvise ha servito bene la comunità ed è stato un prete galantuomo ed anche il mansionario Pré Fabrino è di buona vita ma sembra essere un po’ incerto nel leggere.

Inventario:

  • 1 tabernacolo di rame dorato

  • 2 calici a coppa e patene d’argento dorati

  • 1 croce di rame dorata con figure in rilievo

  • 4 candelieri di ferro

  • 2 candelieri di legno

  • 2 ceroferari di legno dorati

Al termine della visita il Vescovo, avendo riscontrato molti disordeni, aveva lasciato queste disposizioni con l’ordine che fossero inviolabilmente osservati:

  • fare una tazzetta d’argento (=pisside) bella e ornata nella quale porre il Santissimo Sacramento, da mettere nel tabernacolo di rame dorato.

  • fare dorare il vecchio calice.

  • fare due bossoli di stagno belli e ornati, attaccati l’uno all’altro, dove riporre il crisma e l’olio dei battezzati.

  • fare una cassetta di noce con chiave nella quale riporre i predetti bossoli con gli altri oli sacramentali.

  • fare un Fonte Battesimale bello e ornato di pietra viva nella parte destra dell’entrata in chiesa ove si trova il sacrario, chiuso da una cancellata.

  • fare una conca di rame stagnato da porre all’interno del vaso attualmente in uso, in attesa che si costruisca il Battistero.

  • fare le finestre di tela cerata con le griglie alla chiesa, così che non entrino gli uccelli a sporcare, e non possano entrare il vento e la pioggia.

  • fare una siepe attorno al cimitero della chiesa affinché non entrino gli animali a calpestare le ossa dei defunti

  • che le spese che si andranno a fare per l’esecuzione degli ordini siano a carico della Fabbriceria. Nel caso non fosse sufficiente quel denaro, dovranno provvedere il Rettore per un terzo e la popolazione per due terzi, come previsto dalle costituzioni episcopali.

  • che i debitori della Scuola del SS. Sacramento paghino le loro illuminarie ed il loro debito entro quindici giorni, altrimenti siano per sempre cacciati dalla predetta scuola e mai più riammessi.

 

8 maggio 1583 - Visita Abbaziale

 

L’8 maggio 1583, su incarico della Priora Giovanna Contarini, il Vicario Abbaziale G. Battista Alcherio aveva comunicato al parroco di Camalò (Giulio Carozzi) l’intenzione di compiere la Visita Abbaziale alla chiesa e alla comunità e gli aveva “intimato” di organizzare l’accoglienza, di versare il censo dovuto (=il tributo) “in virtù di santa obbedienza e sotto pena di scomunica”.

La diatriba tra le Monache di Murano ed il Vescovo di Treviso non era evidentemente del tutto placata perché al suo arrivo, il 9 maggio 1583, il citato Vicario Abbaziale si era trovato sul sagrato il rettore Carozzi che gli contestava questa visita, perché di competenza del Vescovo di Treviso. L’Alcherio aveva proceduto comunque nel suo incarico ed aveva steso la sua relazione.

Questo documento ci consente di avere oggi una più dettagliata descrizione della situazione della nostra chiesa al 9 maggio 1583:

  • Il Santissimo Sacramento era conservato in una pisside d’argento collocata in un tabernacolo di laton indorato (=lamina di ottone dorata).

  • Al centro dell’altare maggiore vi era un ciborio (=edicola a quattro colonne) di legno, anch’esso dorato, chiuso da una grata, entro il quale era conservata l’Eucaristia.

  • Vi erano, oltre al predetto altare maggiore, altri due altari: uno dedicato alla Beata Vergine e l’altro con l’immagine della Beata Vergine tra i santi Rocco e Sebastiano.

  • Gli Oli Santi erano conservati in vasetti di stagno ed il Fonte Battesimale era ben conservato e tenuto.

Questa era la dotazione delle suppellettili e degli arredi sacri:

  • 2 calici di rame dorati

  • 2 corporali con animette

  • 1 croce astile di legno dorata

  • 2 ceroferari di legno dorati

  • 1 ombrello di broccato di lana (serviva per accompagnare il Viatico ai moribondi) della Scuola del SS. Sacramento

  • 1 vecchia croce di legno dipinta

  • 2 paia di candelieri di lamiera

  • 1 altro paio di candelieri di ferro

  • 1 altro paio di candelieri di legno sopra l’altare dei Martini (l’altare con l’immagine della Beata Vergine tra i Santi Rocco e Sebastiano)

  • 1 altro paio di candelieri in ferro sopra l’altare della famiglia BOSSI (=BORSO, famiglia nobile che abitava nella Villa poi Lanza, ed ora Pepe)

  • 1 gonfalone

  • 10 tovaglie, delle quali sei appartenenti ai due altari e le altre quattro all’altare maggiore

  • 1 altare con pietra sacra sopra l’altare maggiore

  • 1 messale nuovo

  • 2 camici di tela usati con relativi amitti e cingoli

  • 3 pianete con stola e manipolo, vecchie

  • 1 lanterna dorata della Scuola del SS.mo Sacramento

  • 1 secchiello di rame per l’acqua santa

  • 1 turibolo da incenso di lamiera senza navicella.

 

Abbiamo così conferma che a quella data esisteva già la pala della Beata Vergine tra i Santi Sebastiano e Rocco, probabilmente quella che ancor oggi possiamo ammirare in chiesa.

 

28 Giugno 1584 – Visita Apostolica

 

Il 28 giugno 1584, per disposizione del Papa Gregorio XIII che aveva promosso alcune iniziative al fine di verificare le attuazioni dei Decreti del Concilio di Trento nelle varie Diocesi, era giunto anche a Camalò il Visitatore Apostolico Cesare De Nores, Vescovo di Parenzo.

Come da prassi, aveva visitato il Tabernacolo posto sull’altar maggiore e ne aveva ordinato il rivestimento interno in seta e la dotazione di un conopeo (=tendine poste davanti al tabernacolo). Aveva disposto che i vasetti degli Oli Santi fossero conservati in un armadietto fissato alla parete del presbiterio. Aveva, altresì, stabilito che a protezione della vasca di pietra del Battistero venisse posto un pinnacolo di legno con conopeo, il tutto chiuso da cancelli di legno.

In chiesa erano presenti l’altare maggiore, l’altare della Beata Vergine violato (=dismesso, in disordine) e l’altare dedicato a San Sebastiano non consacrato (= altare dei Martini, ndr). Aveva ordinato che i due altari fossero provvisti di pala, croce, lampade e tela verde. Non c’era la sacrestia. Nel cimitero dovevano essere subito abbattuti tutti gli alberi.

I beni immobili della chiesa erano costituiti da due campi che si affittavano per tre ducati.

 

Dal fatto che il Visitatore Apostolico avesse disposto di munire i due altari di pala, si potrebbe dedurre che il dipinto della Beata Vergine tra i Santi Sebastiano e Rocco, presente nella vista abbaziale del precedente anno (8 maggio1583), fosse stato rimosso (per motivi sconosciuti). Sorprende, altresì, che l’altare dei nobili BORSO, quello normalmente nominato della B.V. Maria, fosse risultato in disordine (“violato”).

 

 

Sec. XVII

 

L’estimo redatto il 31 agosto del 1681 dall’agrimensore Paolo Pagnussin ci riporta che a Camalò c’erano in tutto 719 campi.

 

 

 

  continua…

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